lunedì 7 novembre 2016

La rivincita del fattore umano




Questa mattina lo Shinkansen (treno proiettile) ci ha condotto in meno di un’ora nella prefettura di Tochigi, a 70 km da Tokyo, per visitare lo stabilimento Fujitsu di Oyama, il maggiore dei tre che la multinazionale vanta in questa regione.
Fondato nel 1959 lo stabilimento è ancora estremamente ben tenuto e impegna su diversi impianti 2200 persone occupando un totale di 150.000 metri quadri. All’interno dell’Oyama Plant si producono sistemi elettronici per la fibra ottica, sistemi elettronici per le reti di comunicazione mobile, sistemi elettronici per il settore sottomarino e per il settore sicurezza (polizia e pompieri). E’ inoltre presente un’università interna (Fujitsu University) per la formazione di tecnici e ingegneri. 


Il profilo della domanda del mercato servito da questo stabilimento negli anni ha subito un consistente mutamento a causa dell’evoluzione tecnologica del mercato ICT e di fenomeni macroeconomici ad esso legati (quali la bolla speculativa dell’IT del 2002). Tutto ciò ha fatto sì che il management si trovasse a dover rivedere le logiche organizzative per mettere in grado la produzione di seguire un mercato la cui domanda è divenuta sempre più frammentata.



Mentre negli anni ’80 lo stabilimento era stato addirittura premiato per il forte livello di automatizzazione del processo produttivo, e adottava una logica di produzione di massa basata su di un limitato numero di modelli da gestire il nuovo scenario economico ha convinto il management ad intraprende un percorso di incremento di flessibilità delle linee basato sui principi del TPS.
L’Ing. Akira Tokumori, nostro cicerone nel corso della visita, è il responsabile del Monozukuri Group.
Come sappiamo il termine giapponese “monozukuri” in senso lato identifica proprio “lo spirito di fare le cose”, dal nome del suo gruppo si evince quindi che si tratta di una unità organizzativa dedicata al miglioramento del processo produttivo.

La scelta d’assetto organizzativo-produttivo realizzata nell’Oyama Plant di questi tempi, in cui si parla sempre più di fabbrica 4.0 e di spinta tecnologica ai processi produttivi, potrebbe quasi apparire in controtendenza, ma solo superficialmente. 



Fujitsu nella giornata di oggi ci ha offerto la possibilità di visitare il bulding 1 (20.000 mq disposti su cinque piani, 1200 persone impiegate), stabilimento nel quale si producono sistemi di comunicazione a fibra ottica e di comunicazione di rete. La scelta di realizzare su più piani lo stabilimento non ha carattere strategico, anzi è un vincolo dovuto all’alto costo del terreno in Giappone.

Il flusso dei materiali va dal basso all’alto (ricezione e accettazione si trovano infatti al piano terra), mentre quello produttivo va dal quarto piano al primo (il processo inizia al quarto piano e al quinto si trova invece la Ricerca e Sviluppo).

La nostra visita, coerentemente al macro ciclo industriale del prodotto realizzato, ha quindi inizio dal quarto piano. 



Al quarto piano sono presenti nove linee automatiche di montaggio di schede elettroniche. La variabilità dei volumi e dei lotti prodotti su queste linee è altissima, andando da basso rotanti con lotto pari a 7 pezzi fino ad alto rotanti con lotti anche da 100 pezzi.

Il secondo piano (montaggio manuale) richiama i prodotti alto rotanti attraverso il kanban mentre i basso rotanti vengono prodotti su ordine seguendo una logica FIFO definita dal programma di produzione. Interessante la compresenza all’interno dello stesso stabilimento di due produzioni con caratteristiche completamente diverse, una di massa, con volumi abbastanza alti e regolari e conseguentemente gestita col kanban, l’altra estremamente variabile e con bassi volumi, e gestita di conseguenza in logica di produzione su ordine e avanzamento FIFO.

La distinzione tra le due gestioni è rimarcata anche dal colore dei carrelli “bamboo” utilizzati per la movimentazione e stoccaggio (bianco per i codici a kanban e nero per i basso rotanti).

Sulle linee di montaggio superficiale delle schede elettroniche è stato fatta una grande attività di riduzione dei vincoli legati al cambio attrezzature raddoppiando i supporti delle bobine dei componenti in modo da consentire l’attrezzaggio in tempo mascherato (mentre la linea funziona). Il cambio dei materiali avviene in pochi minuti lungo tutte le postazioni (macchine di montaggio) della linea (analogo a ciò che si fa per alcune macchine utensili).

Il bilanciamento delle diverse macchine componenti ciascuna linea è invece realizzato programmando opportunamente il mix dei diversi codici da produrre durante la giornata.

Le capacità degli operatori sono presidiate ed esposte su matrici delle competenze che per ciascun operatore e ciascuna linea identificano le seguenti tre abilità di base: 



  1. è’ in grado di alimentare la macchina con i componenti:
  2. è in grado di realizzare un cambio prodotto (setup);
  3. è in grado di controllare la macchina in funzionamento.

In estrema sintesi il quarto piano di stampaggio automatico può essere descritto come un esempio di automazione flessibile in cui i vincoli delle macchine e degli uomini sono ridotti al minimo attraverso opportune tecniche lean (SMED e addestramento pianificato mediante le matrici delle 

competenze).


Al secondo piano dell’edificio si svolgono l’assemblaggio manuale e il test delle schede elettroniche stampate al quarto piano.
Le schede assemblate in questo stabilimento sono molto complesse, e il processo non è completamente automatizzabile. Alcuni componenti richiedono tutt’ora operazioni di saldatura manuale.
Alle schede realizzate al quarto piano vengono quindi saldati altri componenti prelevati dal magazzino componenti di reparto.
La fornitura in kit dei componenti aggiuntivi da parte degli operatori logistici consente agli operatori produttivi di spingersi fino a una logica di “one piece flow”, realizzando lotti anche unitari.
Anche nelle logiche di gestione di questo reparto permangono differenze tra la modalità di gestione adottata per gli alto rotanti e quella dedicata ai codici con bassi volumi. La composizione del kit dei basso rotanti è infatti realizzata manualmente con picking guidato da monitor su carrello , collegamento RFID e segnalazione del prelievo da parte dell’operatore che consente di verificare in automatico la correttezza del kit prelevato. Per quanto riguarda i codici alto rotanti e più ripetitivi la verifica di correttezza del kit composto è invece meramente basata sull’esperienza e sul controllo visivo.
Per essere più flessibili nel gestire il kitting di molti modelli diversi qualche anno fa si è addirittura scelto di smantellare la precedente gestione basata su agv a banda magnetica per tornare a carrelli spinti manualmente dall’operatore logistico.
Nel caso degli alto rotanti il poka yoke in fase di composizione del kit è gestito con soluzioni visual estremamente semplici ed efficaci. Nell’alloggiamento di ciascun tipo di componente di ciascun carrello di kitting sono infatti presenti delle minuscole fotografie (es. bryce canyon, palla da calcio, ecc…) che, essendo analogamente posizionate sugli scaffali di kitting, consentono all’operatore una veloce verifica visiva di quanto prelevato senza dover perdere tempo a leggere il codice scritto o il relativo ideogramma di descrizione.
E’ un vero peccato non aver avuto l’opportunità di fotografare questi carrelli, che evidenziano la capacità nipponica di semplificare all’estremo processi in apparenza molto complessi.
Questa capacità, ci viene confermato, deriva anche dal fatto che il popolo giapponese trovandosi a dover usare caratteri alfabetici molto complessi (gli ideogrammi) ha sviluppato molto la capacità di utilizzare simboli per comunicare concetti (il manga non nasce a caso in Giappone), capacità che ha portato con se anche in ambito organizzativo e aziendale.
E’ interessante notare che questa soluzione così semplice ma al contempo così potente ed efficace è stata suggerita dagli operai stessi, che in ottica kaizen vedono attuate almeno tre proposte di miglioramento a testa all’anno.
Anche in questo piano dello stabilimento, come al precedente, il ritmo del processo produttivo giornaliero è scandito da un grande tabellone Andon elettronico.
Scendiamo infine al primo piano dove avviene la produzione dei rack di alloggiamento ed il montaggio finale dei componenti al loro interno. Notiamo l’ordine, la pulizia e i ritmi di lavoro decisamente più ridotti tra gli operatori di banco (coloro che effettuano la vera e propria attività a valore aggiunto) rispetto ai logistici.
Trattandosi di componenti ad alto valore le fasi a valore aggiunto sono svolte con grande attenzione e non c’è particolare focalizzazione sul ritmo di lavoro, che appare decisamente più elevato nella fase logistica e di preparazione dei kit di alimentazione (a non valore aggiunto).



Durante gli spostamenti in Shinkansen il gruppo è rimasto stupito dagli esempi di applicazione del visual management visibili anche nelle stazioni ferroviarie.
Nelle foto sotto l’esempio di gestione delle code (due file differenti, una per il treno veloce in arrivo e una per il successivo) e i segnali visivi che identificano il numero di carrozza che si ferma nella data posizione della banchina in relazione allo specifico tipo di treno.
I treni veloci sono la spina dorsale di questo paese sin dagli anni sessanta, e consentono ogni giorno a quasi un milione di giapponesi di spostarsi in modo puntuale, veloce e preciso per lunghissime distanze. Non a caso anche qui come in azienda la complessità è gestita mediante ordine mentale e semplici soluzioni visual.  


Stasera arriveremo a Kyoto, antica capitale del Giappone, e domani pomeriggio visiteremo Daikin.

Matteo Bianchi
Lean Club

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